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Esplorare in modo ludico il comportamento sanitario

Ori Schipper
26th August 2025

I giochi fungono da stimolo e sono perciò un mezzo per coinvolgere le persone nella ricerca. Nel PNR 80 «Covid-19 in der Gesellschaft» (Covid-19 nella società) diversi gruppi di ricerca hanno scelto questa opzione, raccogliendo esperienze preziose e stimolanti.

Alla maggior parte delle persone piace giocare. Le ricercatrici e i ricercatori comportamentali vedono nel gioco una sorta di apprendimento attivo: chi gioca esplora un mondo (spesso simulato). Si possono così scoprire quali conseguenze derivano da determinate azioni. Nel gioco si possono risolvere contraddizioni, decifrare enigmi e si può addirittura morire, senza mettere davvero in pericolo la propria vita.

In quest’ottica, è quasi ovvio che i giochi presentino anche un grande potenziale per la ricerca. Nel Programma Nazionale di Ricerca «Covid-19 in der Gesellschaft» (Covid-19 nella società) (PNR 80), i giochi sviluppati per scopi scientifici hanno diverse finalità: alcuni/-e ricercatori/-trici desiderano motivare con essi le persone a partecipare a un progetto di ricerca. Altri/-e utilizzano i giochi per avviare delle discussioni nel pubblico sui risultati delle ricerche.

Nel progetto «Relazioni sociali in una pandemia» un gruppo di ricerca esamina come si comportano le persone quando sono parte di un gruppo. Il videogioco sviluppato dai/dalle ricercatori/-trici è principalmente uno strumento per la raccolta di dati, ma dovrebbe anche risultare divertente per coloro che partecipano allo studio. Nei progetti «Promuovere il dibattito pubblico» e «Disuguaglianza e benessere» vengono invece sviluppati giochi di ruolo basati sulle conoscenze acquisite, che invitano il pubblico a confrontarsi in modo ludico con le scoperte.

Nel gruppo agricolo virtuale

«Non sono affatto una gamer», chiarisce Alexandra Freund all’inizio della conversazione. Insieme a Urte Scholz dirige un team presso l’Istituto di psicologia dell’Università di Zurigo che intende «osservare il comportamento sanitario durante la pandemia» attraverso un videogioco, senza dover ricreare la pandemia. Nel progetto, i/le ricercatori/-trici del team di Freund e Scholz indagano in che modo le relazioni sociali influenzano il comportamento sanitario. «Le identità sociali si creano in un attimo», dice Freund. Nei luoghi ricreativi scolastici si può osservare, ad esempio, come i bambini che giocano a pallone non hanno problemi a distinguere i membri della propria squadra da quelli avversari. «È spaventoso quanto velocemente ciò accada», afferma la professoressa di psicologia.

Durante la pandemia di coronavirus, molte persone hanno perso la fiducia nel sistema sanitario. Alcune sono state «trascinate in un vortice» che le ha risucchiate sempre più in profondità: anche persone molto oneste e precedentemente irreprensibili sono state indotte a «opporsi alle direttive del governo», spiega Freund. Per esaminare più da vicino questo fenomeno, i/le ricercatori/-trici hanno progettato un gioco in cui i/le giocatori/-trici sviluppano in più fasi la loro appartenenza al gruppo.

Il gioco si chiama «Der Acker ruft!» (La terra ti chiama!). Chi gioca si immedesima in un personaggio che si dedica all’agricoltura insieme ad altri/-e, quindi semina, annaffia le piante e poi vende pomodori e cetrioli al mercato. La dottoranda Sophie Kittelberger ha contribuito in modo significativo allo sviluppo del gioco. «Questa era per me un’assoluta novità», dice Kittelberger. A tal fine, si è immersa nel mondo della programmazione amatoriale, in cui le persone si collegano in modo anonimo a server per perfezionare parti di codici open source, per lo più nel loro tempo libero, ossia la sera e nei fine settimana.

Screenshot del videogioco: La persona senza cappello al centro non fa ancora parte a pieno titolo del gruppo amicale o familiare denominato «Cappelli rossi». Quindi non può ancora, ad esempio, vendere prodotti sul mercato o partecipare a votazioni di gruppo. Diventerà membro a pieno titolo del gruppo solo nel corso del gioco.
Fonte: NRP 80, research project ‘Social relationships in a pandemic’

Complessivamente erano coinvolte nella programmazione circa 70 persone. «È stato faticoso e impegnativo gestire ogni aspetto», racconta Kittelberger. La ricercatrice ha dovuto anche imparare a cedere il controllo e a mantenere la flessibilità. Il risultato è un gioco dal look retrò, attualmente molto popolare, che «risulta completamente diverso da come ce lo eravamo immaginato inizialmente», dice Kittelberger. «I contenuti, tuttavia, corrispondono esattamente a ciò che volevamo: il gioco ci consente di creare un’identità sociale con un gruppo virtuale.»

«All’inizio non si è membri del gruppo a pieno titolo, solo col tempo ci si integra maggiormente all’interno della comunità», spiega Kittelberger. Il proprio personaggio nel gioco acquisisce una catena blu e successivamente un cappello rosso, che «simboleggiano maggiori privilegi e anche maggiore responsabilità relativamente alla scelta delle verdure da vendere sul mercato», illustra Kittelberger. Il ricavato della vendita servirà a finanziare un trasloco reso necessario da un’imminente eruzione vulcanica.

Le ricercatrici e i ricercatori hanno scelto lo scenario di gioco del vulcano perché volevano creare una situazione minacciosa «senza però richiamare direttamente alla memoria la pandemia di Covid-19», spiega Freund. «Vogliamo evitare che questi ricordi influenzino il comportamento nel gioco, oscurando così l’influenza dell’identità sociale.»

«I bug sono stati risolti», dice Freund. «Ora è giunto il momento di iniziare la raccolta dei dati.» I/Le ricercatori/-trici cercano volontari/-e che per tre giorni, per 30 minuti al giorno, si dedichino alla coltivazione virtuale della terra e compilino dei questionari online. «Come si sentono le persone in una nuova comunità? Come trovano il loro posto all’interno di tale comunità? È proprio quello che vogliamo scoprire in questo studio, in modo ludico!», affermano le ricercatrici e i ricercatori nel modulo di iscrizione allo studio.

Giochi di ruolo con una componente educativa

Nel progetto «Promuovere il dibattito pubblico», i/le ricercatori/-trici dell’Istituto per l’etica biomedica e la storia della medicina dell’Università di Zurigo collaborano con i/le colleghi/-e dello Swiss Tropical and Public Health Institute di Basilea. La loro ipotesi è che concetti morali fondamentali come «responsabilità» o «solidarietà» assumano significati differenti se utilizzati da persone o istituzioni diverse. Quindi anche i malintesi avrebbero reso così accesi molti dibattiti durante la pandemia di coronavirus.

Utilizzando metodi sofisticati supportati dall’IA, il team di ricerca ha confrontato il modo in cui, da un lato, il Consiglio federale e l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) utilizzano termini come «libertà» e, dall’altro, il contesto in cui questi termini appaiono in articoli di giornale o in post su piattaforme elettroniche, ad esempio Facebook. Sulla base di queste analisi linguistiche, i/le ricercatori/-trici sviluppano una sorta di quiz online. È in programma anche un gioco di ruolo, afferma il dottorando Franc Fritschi: «è un po’ come «Lupi mannari», lo conosce?» Il gioco di ruolo è destinato principalmente ad adolescenti di età compresa tra 15 e 19 anni. «Si immedesimano nel ruolo della nonna o del proprietario di un piccolo bar», dice Fritschi. «Decidono poi insieme cosa fare quando scoppia una pandemia fittizia.»

I/Le giovani sviluppano prima diversi scenari e «poi decidono in una discussione una soluzione equa», spiega Fritschi. Il ricercatore auspica che «il gioco stimoli un processo di riflessione critica» e che i/le giovani «imparino a discutere» giocando. I/Le partecipanti devono chiarire con precisione cosa intendono quando parlano di libertà o giustizia. «Il gioco ha una componente educativa», dice Fritschi.

Qualcosa di simile a ciò che Fritschi ha in mente è già stato sviluppato da Nolwenn Bühler e Joachim Marti di Unisanté a Losanna. Essi dirigono il progetto «Disuguaglianza e benessere» e in collaborazione con gli/le specialisti/-e del dialogo tra scienza e società di «L’éprouvette», durante le giornate delle porte aperte all’Università di Losanna, hanno creato un gioco di ruolo per famiglie con bambini/-e a partire dai dieci anni. «Non volevamo che il pubblico ascoltasse passivamente conferenze dei/delle ricercatori/-trici», dice Bühler. «Volevamo stimolare discussioni», precisa.

Il gioco di ruolo si basa sulle conoscenze che Bühler ha acquisito durante la pandemia di coronavirus (per un precedente progetto di ricerca nell’ambito del PNR 78 «Covid-19»). All’epoca Bühler ha avuto numerose conversazioni con colleghi e colleghe. Ha parlato con membri della popolazione generale e con persone che hanno dovuto continuare a lavorare durante il lockdown presso il servizio pacchi della posta o alle casse dei supermercati. Inoltre si è confrontata con richiedenti asilo che nei centri di accoglienza avevano possibilità molto minori di isolarsi ed erano perciò particolarmente colpiti/-e dalle restrizioni.

Secondo Bühler, il fatto che la pandemia abbia rivelato e accentuato disuguaglianze già esistenti costituisce una tematica complessa e quindi non semplice da comunicare. Tuttavia, immedesimandosi in Samira, una liceale di 16 anni, in Jacques, un pensionato di 86 anni e in Sélim, un richiedente asilo di 25 anni, ossia persone con diverse risorse e difficoltà, il pubblico partecipante al gioco sviluppa autonomamente una sensibilità per le disuguaglianze strutturali e sistemiche presenti nella società.

Ogni ruolo ha una propria mission: Samira si prepara per competizioni sportive, mentre Sélim studia il francese. Tuttavia, l’obiettivo principale del gioco è portare tutti/-e i/le giocatori/-trici a superare la crisi. «Un gioco mantiene viva l’attenzione, si vuole vincere», dice Bühler. «Se poi, nonostante tutto, per alcuni personaggi la storia finisce male, questo genera un senso di ingiustizia non percepito in modo astratto, bensì vissuto in prima persona.»

L’antropologa accoglie con favore questo aspetto perché «il senso di ingiustizia motiva le persone a riflettere». Nelle discussioni seguite a ogni turno di gioco, è emerso rapidamente che «la solidarietà tra le persone nel quartiere è uno dei molteplici fattori di mitigazione delle disuguaglianze a livello sanitario», afferma Bühler. Inoltre «il pubblico ha compreso che la propria salute dipende non solo da decisioni individuali, ma anche dal contesto sociale».


Referenze (in inglese):