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Le attitudini dei cittadini mostrano che esperti indipendenti hanno ancora un ruolo da giocare nelle democrazie europee

Eri Bertsou, Giulia Pastorella
5th January 2017

Benché sviluppi recenti sulla scena politica indichino che il ruolo di esperti non eletti è sempre più percepito in maniera negativa nelle democrazie europee, Eri Bertsou e Giulia Pastorella sostengono che attitudini positive verso i tecnocrati rimangono prevalenti in molte democrazie cosiddette ‘avanzate’. Le autrici spiegano che i due fattori determinanti delle attitudini dei cittadini verso questi esperti sono la mancanza di fiducia nelle istituzioni politiche e la convinzione, o meno, che la democrazia sia un sistema di governo soddisfacente. Il testo si concentra quindi a spiegare la rinnovata attrattiva della ‘politica non-politica’ che si è riscontrato da dieci anni a questa parte.

L’annuncio dell’Oxford Dictionary che la ‘post-verità’ è la parola dell’anno nel 2016 è solo l’ultima, ulteriore prova che qualcosa di fondamentale sta cambiando nelle democrazie europee. È il riconoscimento abitiamo un mondo in cui la politica fa leva su emozioni e in cui si dibattono pregiudizi invece che fatti e dati. La dichiarazione di Michael Gove pochi giorni prima del voto nel referendum sulla Brexit è un ottimo esempio: riferendosi al Regno Unito ha dichiarato che ‘questo paese ne ha avuto abbastanza degli esperti’. Di primo acchito, pare che esperienza, expertise e credenziali indipendenti siano spesso ritenute dai cittadini qualità irrilevanti, e che non contino più nei dibattiti politici.

Nonostante questo trend, noi riteniamo che le attitudini dei cittadini verso gli esperti non possano essere ridotte o riassunte cosi semplicemente. C’è al contrario bisogno di capire per quale motivo alcuni cittadini trovino gli esperti un’opzione migliore dei rappresentanti popolari democraticamente eletti. Ottenere chiarezza su questo aspetto aiuta a far luce su alcuni degli sviluppi politici più recenti, incluso il crescente supporto per movimenti populisti.

Partiamo da un’osservazione aneddotica. Solo qualche anno fa, diversi stati europei hanno scelto dei tecnocrati per guidare ministeri e governi interi, nel tentativo di arginare crisi nazionali e internazionali (Monti e Papademos in Italia e Grecia, Fischer e Bajnai in Repubblica Ceca e Ungheria, Ciolos in Romania ecc.). In certi casi, queste scelte sono state accolte favorevolmente dai cittadini, in altri hanno suscitato violente reazioni e critiche, e in altri ancora i tecnocrati prima sono stati accettati e poi rigettati. Sosteniamo che la prospettiva dei cittadini a proposito di questi tecnocrati e della classe dirigente oltre che dei sempre più influenti populisti meriti una maggiore attenzione, poiché ciascuna è una faccia diversa della stessa unica sfida che la democrazia tradizionale si trova ad affrontare.

Quali sono le origini delle diverse attitudini dei cittadini verso la tecnocrazia, e di quali elementi si compongono questi atteggiamenti?

In uno studio recente abbiamo considerato la domanda di cui sopra esplorando gli atteggiamenti positivi e negativi dei cittadini verso la tecnocrazia per capire che cosa possa portarli a preferire che esperti non eletti prendano decisioni politiche invece dei rappresentanti politici tradizionali. Ci ha spinto a questa ricerca da una parte la constatazione che le soluzioni tecnocratiche descritte qualche riga sopra hanno suscitato reazioni molto diverse secondo il paese. Dall’altra che manca ricerca su come populismo, tecnocrazia e democrazia si articolino a livello del singolo cittadino, invece che come concetti astratti o a livello nazionale.

Lo European Values Survey (EVS) e il World Values Survey (WVS) sono due sondaggi uno a livello Europeo e l’altro internazionale, che abbiamo utilizzato per la nostra ricerca. Contenevano una domanda per i partecipanti che era formulata come segue: “Le descrivo ora vari modi di governare. Per ciascuno di essi mi dica quanto lo ritiene buono o cattivo per governare il suo paese: Non avere un governo che prende le decisioni, ma degli esperti, che decidono secondo ciò che essi ritengono sia meglio per il paese”. Le risposte a questa domanda nel 2008 – ovvero prima che i governi tecnici già menzionati venissero nominati - mostrano già ampie variazioni tra i cittadini dei diversi membri dell’Unione Europea. Come mostra la mappa qui di seguito, gli stati dell’Europa centrale e dell’est hanno generalmente un livello di supporto alto per il governo degli esperti, mentre il livello di supporto più basso si trova in Grecia, Cipro, Olanda e Svezia.

Stranamente, dati dalla più recente ondata di WVS (purtroppo disponibili solo per alcuni paesi) non mostrano grandi differenze rispetto al 2008. Al massimo le tendenze positive verso la tecnocrazia vengono rafforzate, sia in paesi che partivano da livelli alti che da quelli che avevano dimostrato meno supporto. Per esempio, le popolazioni di Polonia e Romania mostrano nel 2015 ancora più supporto per la soluzione tecnocratica, con 83 e 84% rispettivamente della popolazione che si trova favorevole o molto favorevole agli esperti. A Cipro, in cui appena 30% della popolazione nel 2008 si era dichiarata favorevole alla tecnocrazia, nel 2015 raggiunge il 54%.  E anche andando a guardare i dati per gli Stati Uniti si nota che più della metà degli intervistati americani considera essere governati da esperti una soluzione buona o molto buona per prendere le decisioni migliori per il paese.

Come si possono allora interpretare questi dati assai disparati, in cui le differenze abbondano? Esplorando più nel dettaglio gli atteggiamenti del singolo cittadino e come arrivi a formulare preferenze e credenze sui meriti di un sistema decisionale piuttosto che di un altro. Ovviamente è possibile che coloro che hanno risposto ai sondaggi avessero in mente diverse configurazioni quando gli è stata posta la domanda sugli esperti che prendono decisioni. Alcuni possono aver pensato ai governi tecnici e alle nomine di tecnici a posti di rilievo nei ministeri nazionali. Altri possono aver fatto riferimento ai burocrati impiegati dall’Unione Europea – i cosiddetti Eurocrati -  o a quelli delle banche centrali, spesso accusati di gestire il paese da Bruxelles e Francoforte. Mentre altri ancora possono aver riconosciuto nella descrizione le amministrazioni pubbliche nazionali. Nonostante queste potenziali divergenze, siamo convinte che ci sia qualcosa che accomuna tutte queste interpretazioni del quesito del sondaggio EVS: un riferimento ad un potere politico che non deriva da elezioni o da processi di competizione partitica, ma da expertise tecnica.

Identifichiamo dunque due aspetti che possono essere associati ad atteggiamenti positivi verso la tecnocrazia che riteniamo fondamentali. Il primo si concentra su come il cittadino intervistato percepisca e si relazioni al processo politico delle elezioni, delle selezioni all’interno dei partiti e delle carriere politiche in generale. Il secondo invece non si riferisce alla politica, bensì a quale opinione abbia il cittadino dell’expertise in un determinato campo. Nel primo caso, ci aspettiamo che la tecnocrazia si scontri con questo modo di interpretare la democrazia come politica e partitica, basata su un sistema di rappresentazione e di responsabilità. Mentre nel secondo caso, la tecnocrazia dovrebbe essere vista come elitista e quindi in disaccordo con il principio di uguaglianza che soggiace alle democrazie moderne.

In effetti, il discorso populista di oggi attacca proprio le élites e gli esperti, in quanto rappresentanti del problema che, secondo i populisti, affligge le democrazie moderne: l’elitismo. Benché chi o cosa siano le élites non sia mai esplicitamente definito, si allude spesso ai rappresentanti del settore privato, all’establishment politico e agli esperti indipendenti. Tutte e tre queste categorie vengono contrastate con il ‘buon’ cittadino.

Nonostante questa prospettiva, il populismo e l’elitismo tecnocratico hanno più in comune di quanto si possa pensare. Una somiglianza deriva dall’enfasi che entrambe pongono su una leadership carismatica e forte, e una visione non-pluralista della politica che divide il mondo in ‘bene/male’ e ‘giusto/sbagliato’. Inoltre, populismo ed elitismo tecnocratico convergono sull’antagonismo all’establishment politico corrente, che si basa sulla struttura del partito come unità fondamentale. In effetti, molti studi sul populismo a livello dei cittadini hanno rilevato una relazione positiva, tra supporto per l’elitismo e per il populismo, là dove ci si sarebbe aspettati una relazione negativa. In altre parole, cittadini che sono attratti dalle rivendicazioni populiste sono anche positivamente propensi verso gli esperti indipendenti, precisamente perché in entrambi i casi si presentano come alternative all’establishment.

Questo porta a una mal comprensione del fenomeno degli atteggiamenti dei cittadini verso i tecnocrati. Spesso il dibattito popolare riunisce in una sola categoria gli esperti indipendenti e l’establishment, mentre quanto esposto sopra dimostra chiaramente che i tecnocrati sono un alternativa a quell’establishment con cui sono confusi. Quindi, nella nostra analisi, cerchiamo proprio di catturare questo atteggiamento verso esperti che non sono stati eletti e che quindi con difficoltà possono essere associati dai cittadini ai partiti politici pre-esistenti o all’establishment in generale. Al contrario, sosteniamo che nella mente dei cittadini questi esperti siano contrapposti all’élite politica, ai partiti, ai parlamenti e al ‘solito tran-tran politico’. Questo è soprattutto valido se il cittadino si sente incapace di influenzare attraverso il sistema elettorale o politico la leadership del suo paese.

Sotto questo profilo, il discorso populista dell’allora candidato a presidente degli Stati Uniti Donald Trump, e il suo appeal in quanto outsider, era rafforzato da quello che i suoi sostenitori percepivano come una ‘expertise’ dovuta al suo passato di business man, di uno che fa girare gli affari. Hillary Clinton, la sua avversaria invece, benché una tra le più qualificate candidate alla presidenza nella storia americana, era diventata sinonimo con l’odiato establishment.

L’influenza delle opinioni sulla democrazia, della fiducia nella politica e della storia nazionale sulle attitudini dei cittadini verso la tecnocrazia

Per comprendere a fondo che cosa possa portare un cittadino a sostenere che un governo di esperti sia una cosa buona per il proprio paese, abbiamo sviluppato una serie di ipotesi basate su quanto detto sopra, e testate usando i dati del sondaggio EVS del 2008. L’analisi dimostra che le opinioni positive dei cittadini sulla democrazia come modo di governo sono inversamente proporzionali al supporto per la tecnocrazia, come anche i livelli di fiducia nel governo nazionale, nel parlamento e nei partiti politici. Ovvero, un cittadino che ritiene che la democrazia sia un buon sistema di governo, e che ha fiducia nelle istituzioni sarà meno portato ad avere un atteggiamento positivo verso gli esperti al governo.

In quanto alle variabili riguardanti la situazione del paese, e alla loro correlazione con le attitudini individuali dei cittadini, rileviamo che lo sviluppo economico del paese, i livelli di corruzione e le esperienze storiche di configurazioni politiche particolari hanno un effetto. Nello specifico, se un paese ha un livello di benessere economico elevato e poca corruzione, i suoi cittadini hanno meno la tendenza a guardare agli esperti per guidare il paese. Inoltre, in un paese che ha avuto esperienza di regime di partito autoritario come il comunismo, la popolazione avrà atteggiamenti positivi verso la tecnocrazia. Questo è dovuto non tanto alla nostalgia della burocrazia partitica, quanto all’incapacità dei paesi di creare sistemi di partiti politici stabili e credibili dopo la caduta del regime autoritario.

In conclusione, la tecnocrazia nella mente dei cittadini è valutata principalmente con riferimento al sistema politico attuale di democrazia rappresentativa e all’esperienza individuale dello stesso. Un atteggiamento positivo verso esperti non eletti è quindi motivato dalla percezione che la democrazia di partito ha fallito nella sua missione. Benché al momento non sia completamente chiaro quali aspetti di questo ‘fallimento’ siano determinanti nel portare il cittadino a sostenere un modo di governo tecnico (questioni di performance? Di politiche divergenti? ), pensiamo che i tecnocrati siano percepiti come soluzioni a questi problemi in quanto outsiders. Ci teniamo a porre l’accento in particolare sul ruolo importantissimo della fiducia nelle istituzioni politiche. Se un cittadino ha poca fiducia in questi bastioni della vita democratica, avrà più tendenza a voltare le spalle alla democrazia rappresentativa. Ovviamente, una volta voltate le spalle, il cittadino può anche scegliere altre opzioni, con quella populista in primis. I partiti estremisti e i leaders populisti hanno capitalizzato molto efficacemente su questo sentimento d’insoddisfazione dei cittadini europei.

Che ruolo avranno gli esperti nel mondo della ‘post-verità’ rimane da vedere. Il successo o meno dei tecnici nelle continue crisi economiche e sociali che stanno dilaniando i paesi europei, sarà determinante nell’aumentare o diminuire il supporto dei cittadini per la tecnocrazia. Personalmente, riteniamo che incorporare l’expertise e i tecnici in una gestione pluralista del sistema di governo potrebbe costituire un modo di far fronte alle divisioni sociali e alla sfida dell’ondata populista che sta mettendo a dura prova le democrazie europee. Ci rendiamo conto, tuttavia, che al momento una soluzione di questo genere resta elusiva.


Riferimento: Bertsou, Eri and Guilia Pastorella (2016). Technocratic attitudes: a citizens’ perspective of expert decision-making. West European Politics.

Visualizzazioni: Salim Brüggemann

Illustrazione di copertina: Gerard Van der Leun (CC-BY-NC-ND)