Gli italofoni sono discriminati nelle elezioni del Consiglio federale?

Il 30 aprile 1999 è sta­to l’ultimo gior­no di lavoro di Fla­vio Cot­ti. Da allo­ra non c’è sta­to più alcun mem­bro del Con­siglio federa­le di lin­gua madre ita­lia­na e ques­to mal­gra­do il fat­to che negli ulti­mi 17 anni num­e­ro­si poli­ti­ci tici­ne­si (ma nes­su­no del Gri­gio­ni ita­lia­no) si era­no fat­ti avan­ti per occup­a­re uno dei pos­ti vacan­ti. Par­li­a­mo di Patri­zia Pesen­ti del PSS (2002), Ful­vio Pel­li del PLR (2003 e 2009), Lui­gi Pedrazzi­ni del PPD (2009), Igna­zio Cas­sis del PLR (2010) e Mari­na Carobbio del PSS (2011). Quel­lo che è inter­es­san­te è che ques­ti poli­ti­ci non sono rius­ci­ti a super­a­re nem­me­no il pri­mo sco­glio: venir inse­ri­ti nel “ticket” uffi­cia­le del pro­prio par­ti­to. Gli uni­ci che ce l’hanno fat­ta furo­no Remi­gio Rat­ti del PPD (1999) e Nor­man Gob­bi del­la Lega/UDC (2015).

C’è quin­di da chie­der­si: come mai i princi­pa­li par­ti­ti sviz­ze­ri non han­no volu­to inser­i­re nei loro ticket uffi­cia­li poli­ti­ci tici­ne­si ben cono­sciuti e app­rez­za­ti a Ber­na? La mia ipo­tesi è che oggi­gior­no gli italo­fo­ni non godo­no di pari oppor­tu­ni­tà nell’elezione del Con­siglio federa­le. Con­tra­ria­men­te al cli­ché che si sen­te spes­so nel­la Ber­na federa­le, esse­re del­la Sviz­ze­ra ita­lia­na è un han­di­cap, non un bonus.

Oppu­re quan­do è un bonus, come nel caso di Nor­man Gob­bi, lo è solo per­ché il tici­ne­se che vie­ne nomi­na­to ha pochis­si­me chan­ce di esse­re elet­to. Ser­ve quin­di soprat­tut­to qua­le stru­men­to per sbar­ra­re la stra­da ad alt­ri can­di­da­ti poten­zi­alm­en­te for­ti ma non gra­di­ti dai ver­ti­ci del par­ti­to (nel­la fat­tis­pe­cie il gri­gio­ne­se Heinz Brand dei Gri­gio­ni oppu­re i sciaf­fu­sa­ni Tho­mas Hur­ter e Han­nes Germann).

La mia ipo­tesi pog­gia su due fat­to­ri strut­tu­ra­li: (a) l’abolizione del­la clau­so­la can­to­na­le nel 1999, e (b) la fine del­la “for­mu­la magi­ca” nel 2003. Ma dia­mo dappri­ma un bre­ve sguar­do alle cifre.

Fra il 1848 e il 2015 la quo­ta media degli italo­fo­ni nell’esecutivo era del 6,7% (cfr. Tabel­la 1), risul­tan­do mag­gio­re ris­pet­to alla mera inci­den­za nume­ri­ca degli sviz­ze­ri di lin­gua ita­lia­na nel­la popola­zio­ne elve­ti­ca (4,3% nel 2000). Da un pun­to di vis­ta sta­tis­ti­co la pre­sen­za di rappre­sen­tan­ti di lin­gua ita­lia­na pot­reb­be quin­di esse­re con­si­de­ra­ta più che sod­dis­fa­cen­te. Ma ques­to dato nas­con­de peri­odi di lung­he assen­ze (in tota­le olt­re 88 anni su 117 fra il 1848 e il 2015), di peri­odi nei qua­li nes­sun italo­fo­no è sta­to mem­bro del gover­no federale.

 

Tabella 1: Lingue in Consiglio federale dal 21.11.1848 al 31.12.2015

Fon­te: Giu­di­ci e Sto­ja­no­vic (2016, in prep.).

Esem­pio di let­tu­ra: Dal 1848 ad oggi ci sono sta­ti 7 con­si­glie­ri federa­li di lin­gua ita­lia­na, ossia 6,1% ris­pet­to al nume­ro tota­le di con­si­glie­ri federa­li (115). I tici­ne­si sono sta­ti in fun­zio­ne duran­te 28586 gior­ni, che cor­ris­pon­de a una quo­ta del 6,7% ris­pet­to al nume­ro tota­le di gior­ni che tut­ti i con­si­glie­ri federa­li han­no tras­cor­so in gover­no. Ciò cor­ris­pon­de a una pre­sen­za media di 0.5 per­so­ne su set­te. Gli italo­fo­ni sono sta­ti pre­sen­ti duran­te il 46.9% del tem­po, ossia duran­te qua­si 79 anni su 167.

Nota: Solo un con­si­glie­re federa­le, Joseph Deiss, è sta­to con­si­de­ra­to bilin­gue (francese/tedesco) ed è sta­to asseg­na­to alle ris­pet­ti­ve regio­ni lin­gu­i­s­ti­che in ragio­ne del 50%.

L’abolizione della clausola cantonale nel 1999

Dal 1848 al 1999 una clau­so­la vin­co­l­a­n­te impe­di­va al Par­la­men­to di eleg­ge­re due o più con­si­glie­ri federa­li del­lo stes­so can­to­ne. È sta­ta poi sosti­tui­ta con una nor­ma regio­na­le e lin­gu­is­ti­ca per nul­la vin­co­l­a­n­te (art. 175 cpv. 4 Cst.). Le chan­ce degli sviz­ze­ri di lin­gua ita­lia­na sareb­be­ro sta­te mag­gio­ri se la clau­so­la can­to­na­le non fos­se sta­ta aboli­ta nel 1999? Ci sono suf­fi­ci­en­ti indi­zi a sos­tene­re ques­ta ipotesi.

Per veri­fi­ca­re l’impatto del­la man­can­za del­la clau­so­la can­to­na­le ho effet­tua­to un’analisi con­trof­at­tua­le di ogni ele­zio­ne al Con­siglio federa­le fra il 1999 e il 2011, alla qua­le si sono pre­sen­ta­ti can­di­da­ti vali­di di lin­gua ita­lia­na (Sto­ja­no­vić 2015, p. 80, tabel­la 3). Il risul­ta­to di tale ana­li­si è che la pre­sen­za del­la clau­so­la can­to­na­le avreb­be aumen­ta­to le chan­ce dei can­di­da­ti sviz­ze­ro-ita­lia­ni di ent­ra­re nel ticket uffi­cia­le in alme­no cin­que occa­sio­ni su sette.

La fine della “formula magica” nel 2003

Fra il 1959 e il 2003 la “for­mu­la magi­ca” per­met­te­va di ripar­ti­re i set­te seg­gi fra i quat­tro par­ti­ti princi­pa­li. La sua fine nel 2003 ha avu­to un impat­to nega­tivo sul­la rappre­sen­tan­za degli italo­fo­ni per alme­no due moti­vi. Il pri­mo è dovu­to al fat­to che il Par­ti­to popola­re demo­cra­ti­co ha per­so il suo secon­do seg­gio. Va inf­at­ti sot­to­li­ne­ato che nel XX seco­lo ben quat­tro con­si­glie­ri federa­li tici­ne­si su cin­que era­no mem­bri del PPD (cfr. Alter­matt 1991). È poco plau­si­bi­le ritene­re che il PPD accet­terà di assegna­re il suo uni­co seg­gio alla com­po­nen­te di lin­gua ita­lia­na, vis­to che qua­si tre quar­ti del suo elet­to­ra­to sono di lin­gua tedesca.

Secon­do, la fine del­la for­mu­la magi­ca ha fat­to sì che, al momen­to attua­le, i set­te mem­bri del Con­siglio federa­le rappre­sen­ta­no cin­que par­ti­ti. Ciò signi­fi­ca che semp­re più par­ti­ti sono pre­sen­ti in Con­siglio federa­le con un solo rappre­sen­tan­te. In aggi­un­ta, il secon­do seg­gio del PLR e del PSS è semp­re più sot­to attacco.

Vis­ta l’importanza che al gior­no d’oggi rive­s­to­no i con­si­glie­ri federa­li per l’immagine del loro par­ti­to e quin­di per il suc­ces­so elet­to­ra­le di quest’ultimo, per i ver­ti­ci dei par­ti­ti sviz­ze­ri è vant­ag­gio­so (a) occup­a­re il loro pri­mo (o uni­co) seg­gio in gover­no con uno sviz­ze­ro-tedes­co, vis­to che cir­ca tre quar­ti dell’elettorato sviz­ze­ro sono di lin­gua tede­s­ca, (b) occup­a­re il secon­do seg­gio con un roman­do, vis­to che due elet­to­ri su die­ci sono di lin­gua fran­ce­se. Non è inve­ce ragio­ne­vo­le occup­ar­lo con un rappre­sen­tan­te del­la Sviz­ze­ra ita­lia­na, il cui elet­to­ra­to pesa cir­ca il 4%. Con ques­to non voglio dire che tali sup­po­si­zio­ni cor­ris­ponda­no alla real­tà, ossia che ave­re un mini­stro italo­fo­no cos­ti­tuis­ca dav­vero uno svant­ag­gio elet­to­ra­le per un par­ti­to. Ciò che con­ta è la per­ce­zio­ne del­la real­tà da par­te dei ver­ti­ci dei par­ti­ti nazionali.

La strumentalizzazione delle identità linguistiche

I let­to­ri e le lett­ri­ci pot­reb­be­ro a ques­to pun­to sol­le­va­re un’obiezione importan­te: “Ma come, la nomi­na di Nor­man Gob­bi sul ticket uffi­cia­le dell’UDC non è for­se la miglio­re dimostra­zio­ne che l’ipotesi sul­la pres­un­ta man­can­za del­le ‘pari oppor­tu­ni­tà’ per i tici­ne­si è falsa?”.

È un’obiezione inter­es­san­te, ma poco per­ti­nen­te. Biso­gna inf­at­ti ricord­a­re che in Sviz­ze­ra è poli­ti­ca­men­te cor­ret­to nomi­na­re per­so­ne mettendo in pri­mo pia­no la loro iden­ti­tà “etni­ca” o lin­gu­is­ti­ca. Ques­to fa sì che le iden­ti­tà lin­gu­i­s­ti­che si pres­ti­no bene a una stru­men­ta­liz­za­zio­ne per moti­vi mera­men­te poli­ti­ci (cfr. Sto­ja­no­vić 2009).

In effet­ti, agli occhi di num­e­ro­si com­men­ta­to­ri, i ver­ti­ci dell’UDC han­no pro­pos­to un ticket tri­lin­gue e com­pos­to da tre per­so­ne, con la sola inten­zio­ne di favo­r­i­re la can­di­da­tu­ra del­lo zughe­se Tho­mas Aeschi; sbar­ran­do così la stra­da ad alt­ri poten­zia­li can­di­da­ti sviz­ze­ro-tede­schi. L’identità lin­gu­is­ti­ca del vodese Guy Par­me­lin e quel­la del tici­ne­se Nor­man Gob­bi risul­ta­no dun­que uno stru­men­to uti­liz­za­to a scopi poli­ti­ci. I ver­ti­ci dell’UDC pre­ve­de­va­no che le oppo­si­zio­ni a Gob­bi sareb­be­ro sta­te import­an­ti – soprat­tut­to per­ché fino all’altro gior­no non era nem­me­no mem­bro dell’UDC. Per quan­to riguar­da Par­me­lin, i ver­ti­ci del suo par­ti­to han­no ovvia­men­te anti­ci­pa­to la cri­ti­ca secon­do cui tre roman­di in gover­no sareb­be trop­pi. [1]

Ques­ta cos­tel­la­zio­ne si è però già veri­fi­ca­ta nel­la sto­ria: dal pri­mo gen­naio 1960 al 30 giug­no 1961 in gover­no sede­va­no Max Pet­tit­pierre (PLR, Neu­châ­tel), Paul Chau­det (PLR, Vaud) e Jean Bourg­knecht (PPD, Fri­bur­go). Una cos­tel­la­zio­ne simi­le risul­ta dal 1° mag­gio 1999 al 31 lug­lio 2006, quan­do il bilin­gue Joseph Deiss (PPD, Fri­bur­go) era mini­stro insie­me a Pas­cal Cou­ch­epin del PLR e Ruth Drei­fuss, più tar­di Miche­li­ne Cal­my-Rey, del PSS. Tut­ta­via (cfr. Tabel­la 2), un gover­no com­pos­to da cin­que ger­ma­no­fo­ni e due fran­co­fo­ni rima­ne la cos­tel­la­zio­ne più fre­quen­te nel­la sto­ria del Con­siglio federa­le (44% del tem­po fra il 1848 e il 2015), segui­ta da quel­la con quat­tro ger­ma­no­fo­ni, due fran­co­fo­ni e un italo­fo­no (25% del tempo).

Tabella 2: Le costellazioni linguistiche in Consiglio federale, 1848–2015

Fon­te: Giu­di­ci e Sto­ja­no­vic (2016, in prep.).

Quan­do inve­ce una per­so­na di lin­gua ita­lia­na ha del­le chan­ce rea­li di esse­re elet­ta, e quan­do per sva­ria­ti moti­vi ciò non cor­ris­pon­de alla stra­te­gia dei ver­ti­ci dei par­ti­ti, ecco che la sua iden­ti­tà lin­gu­is­ti­ca vie­ne stru­men­ta­liz­za­ta per sbar­r­ar­le la stra­da. Fu esem­pla­re da ques­to pun­to di vis­ta la suc­ces­sio­ne di Ruth Drei­fuss nell’autunno del 2002. I ver­ti­ci del PSS vole­va­no veder elet­ta, per moti­vi poli­ti­ci, Miche­li­ne Cal­my-Rey. I suoi due princi­pa­li con­cor­ren­ti – il neo­cas­tel­la­no Jean Stu­der e la tici­ne­se Patri­zia Pesen­ti – furo­no scar­ta­ti uti­liz­zan­do, ris­pet­tiva­men­te, l’argomento del gene­re e quel­lo lin­gu­is­ti­co: la dire­zio­ne dichiarò di voler pre­sen­ta­re una don­na roman­da. (Per mag­gio­ri det­ta­g­li su ques­to epi­so­dio, vedi Sto­ja­no­vić 2013: 270–273). A tal pun­to accan­to a Cal­my-Rey sul ticket uffi­cia­le ven­ne inse­ri­ta Ruth Lüthi: una fri­burghe­se di lin­gua madre tede­s­ca, ma con buo­ne cono­s­cen­ze del fran­ce­se. Era faci­le anti­ci­pa­re che nel­le set­ti­ma­ne suc­ces­si­ve i fran­co­fo­ni avreb­be­ro pro­testa­to e nega­to a Lüthi il pote­re di rappre­sen­ta­re la Sviz­ze­ra fran­ce­se. E così fu. L’elezione di Cal­my-Rey andò quin­di liscia come l’olio.

[1] Vedi inter­vis­ta di Adri­an Vat­ter, “Es gibt genug Roman­ds im Bun­des­rat”, Tages-Anzei­ger, 21.11.2015.

Indi­ca­zio­ne: Si ringra­zia­no Anja e Sil­ja Giu­di­ci per le loro osser­va­zio­ni e la rilet­tu­ra. Una ver­sio­ne abbre­via­ta di ques­to arti­co­lo è usci­ta su il Caf­fè, 6.12.2015.


Biblio­gra­fia

Foto: Wiki­me­dia Commons

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